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Oggi ho 53 anni e non mi sembra vero frequentare la scuola per avere la Licenza di Terza Media. Finalmente far pace con la ragazzina che dentro di me, che rimasta chiusa per 40 anni e che dovette rinunciare a s stessa per mantenere la famiglia.
Era per me motivo di grande sofferenza non essere ci che realmente desideravo, e non fare ci che avrei veramente voluto fare; sono cresciuta guardando sempre quella ragazzina a cui i suoi occhi sembravano implorare di fare qualcosa per s stessa.
Ma ci non stato possibile per tanti fatti che sono accaduti in questi anni.
Sono partita dal mio paese quando ero ancora una ragazzina e poi ho incominciato, per necessit, a lavorare. Non c’era tempo per andare a scuola perch eravamo tanto occupati con il lavoro che ci dava i soldi per vivere.
Abbiamo davvero fatto tanti sacrifici per tirare avanti.
Dopo tanti anni duri, finalmente siamo riusciti a comprare una casa decente, con il bagno. Quel bagno che da sempre rappresentava il sogno della mia vita.
Nel 1977 mi sono sposata e la vita sembrava aver cambiato giro di sorte.
Infatti nel 1979 nacque Stefano, mio figlio. Ero felice di avere una creatura tutta mia e di mio marito Giorgio; sognavo per Stefano tutto quello che io non avevo avuto, ma in un certo senso non fu cos.
Dopo tre mesi dalla nascita di Stefano, Giorgio si ammal e cos io non potei pi giocare con il mio bambino. E l la ragazzina riaffiorava guardandomi e giudicandomi per la mia sofferenza. Comunque, fui costretta per anni a trascurare mio figlio.
Dopo anni e anni di malattia Giorgio mor e io rimasi sola con Stefano, che nel frattempo aveva compiuto 8 anni.
Per anni sono stata madre e padre, sempre con la paura di non farcela; tutte le sere, quando andavo a dormire, imploravo a Dio la grazia di lasciarmi in vita, perch Stefano non restasse orfano anche di madre.
Dopo ho anche cercato di essergli amica, ma non sempre stato cos facile crescere il mio ragazzo, perch io volevo il massimo per lui, specialmente l’ istruzione.
Questo perch non volevo che soffrisse come me, a causa della mancanza di quest’ ultima. Tutti i giorni gli ripetevo: "I soldi fanno comodo, ma volano via, l’istruzione invece resta", cos oggi Stefano frequenta l’ universit.
Gli ho anche consigliato di andare in America, e infatti stato via per un anno per imparare l’inglese. Anche in quel periodo ho sofferto per la sua mancanza.
Per, in questo caso, per combatterla sono andata due volte a trovarlo in America.
Ho vissuto dieci giorni in college con lui ed altri ragazzi e ragazze. Ero felice quasi fossi una loro coetanea.
Il 2000 stato quindi un anno particolare per me e per Stefano.
Oggi sono una donna serena e felice perch posso pensare solo a me stessa.
Stefano pu volare da solo e io sono come la sua spiaggia per riposare dopo i viaggi che far.
Sono infine contenta di poter frequentare la scuola, perch in classe siamo in otto adulti e con noi ci sono tanti ragazzi giovani per cui non sempre facile seguire le lezioni. Perch. si sa, i ragazzi sono vivaci.
In compenso per, non sento pi parlare ne’ di colesterolo alto, ne’ di diabete.
Ricordo i miei anni di scuola alle elementari svolte in Sicilia, in un paese agricolo dove tutti sanno di tutto e di tutti. Ero una ragazzina vivacissima e curiosa; conoscevo tutte le persone vicine di quella casa dove abitavo con mio pap, i miei fratelli e sorelle e la mia mamma, che era sempre triste e piangeva perche’ non era facile gestire la nostra famiglia numerosa. Cos io scappavo da casa in cerca di allegria, e restavo incantata, quando per strada si fermava il cantastorie; e dopo aver gironzolato, andavo a scuola, ed ero sempre felice di partecipare alle lezioni, perch avevo una maestra tanto buona e generosa, che ancora oggi mi commuove parlare di lei. I miei compagni dicevano che era pazza perche’ vestiva in modo elegante, portava dei cappellini meravigliosi e io dicevo fra me e me: "Quando sar grande voglio diventare come lei, non pazza, ma elegante".
Tutte le mattine, prima di andare a scuola andavo a casa della mia maestra, perch nel periodo invernale non c’era il riscaldamento nelle scuole e cos si usava lo scaldino per riscaldarsi un po’ le mani; credo che oggi questo oggetto non esista pi. Era come un vaso di terracotta, ma era fatto di rame e aveva due piccoli archetti come manici e dentro ci si metteva della carbonella di buccia di mandorla; ancora oggi sento quel profumo e quel calore strano che non so spiegare, e cos ricevevo questa gentilezza dalla mia maestra.
Finita la lezione, tutte noi ragazzine andavamo a casa da sole; non c’era una mamma che venisse a prendere la propria figlia. La mia maestra era amica di mia mamma e tutti i giorni mi diceva: "Vieni con me, mi porti lo scaldino a casa, e ti fermi a pranzo da noi". Oggi capisco invece che non era lo scaldino che voleva le portassi, ma un modo nobile di dirmi di andare a pranzo da lei. E cos io mangiavo insieme a lei e a sua figlia, ricordo ancora dove pranzavamo: era un giardino arabo. Lo descrivo. Era una costruzione di muri alti, circolari, per riparare le piante dal vento. Quel giardino era pieno di piante di arance, limoni, palme e gerani; allora non sapevo apprezzare la natura, ma sono stata fortunata ad esser nata in un posto cos magico, ma questo lo capisco solo oggi.
Ricordo con gioia e stupore il cantastorie: era un signore che attraversava la Sicilia con un carretto e un pannello con tante figure disegnate, coloratissime e con le quali ci faceva sognare, piangere, ridere, ballare. Allora, quello era un modo per far sapere le notizie. Inoltre lui parlava di amori, tradimenti, gelosie, morte e nascita. C’era tutto. E noi ragazzine partecipavamo a tutte le storie che narrava cantando. Cos sognavo di scappare dalla Sicilia, perch capivo che non c’era avvenire per noi ragazze; non volevo fare la fine di mia madre, sempre triste, disperata, vestita di nero e rassegnata come tutte le persone nate in Sicilia.
Cos, all’ et di 11 anni, assieme a mia mamma e a mio padre partimmo in corriera da Mazzarino, il mio paese nativo, per arrivare a Catania e prendere il treno per il Nord. Milano era il mio sogno.
Arrivati a Catania mi affidarono a persone sconosciute, che dovevano andare anche loro a Milano. Allora non c’era la paura che abbiamo oggi tutti noi genitori.
Inizi il viaggio, ricordo ancora i signori che erano nello scompartimento con me, erano gentilissimi e umani, mi offrivano da mangiare quello che dovevano mangiare loro e lo si divideva tra tutti I viaggiatori dello scompartimento.
Ero felice di arrivare a Milano.
Quando abbiamo attraversato lo stretto di Messina mi sono messa a piangere, non capivo perch piangessi, ma oggi lo so: mi sentivo una pianticella senza radici e pensavo: "Ce la far a vivere lass al Nord, dove fa molto freddo?"
Dopo due giorni, finalmente arrivai a Milano, alla stazione Centrale dove mi aspettava mia sorella Maria. In un primo momento non la vidi e scoppiai a piangere, e quei signori gentili per incoraggiarmi mi dissero: "Non ti lasciamo da sola finch non arriva tua sorella". Se ripenso all’ effetto che mi fece la stazione di Milano, provavo paura, gioia, libert, tutto.
Dopo mia sorella arriv e tutto sembrava essersi sistemato per il momento.
Dopo un paio di giorni, mi sono messa in cerca di un lavoro, eravamo ospiti dei suoceri di mia sorella. Come letto avevo delle sedie. Erano dei momenti brutti, credo, per tutti.
Finalmente trovai da lavorare dai Cinesi, che avevano una fabbrica di pellame che faceva borse. Il padrone era un signore anziano; quando mi ha visto lavorare in reparto, dove si usava la colla, ha chiamato il caporeparto dicendogli di mandarmi a lavorare in magazzino, perch era un lavoro pi adatto ad una ragazzina. Erano tutti buoni con me e tutti i giorni il padrone mi comprava un grande gelato.
Tutte le mattine mi alzavo prestissimo perche’ abitavamo a Cormano, un paese vicino a Milano, e dovevo prendere due tram perch la fabbrica si trovava a porta Ticinese. Questo stato l’ inizio del mio viaggio dalla Sicilia a Milano. Allora non c’era il Telefono Azzurro per chiedere aiuto. Mi dispiace scrivere queste cose, ma allora i figli servivano per mandarli a lavorare e assicurarsi per dopo la vecchiaia. Oggi non so quale sia la scelta pi giusta, se quella dei miei genitori oppure la mia, che cerco di evitare tutte le fatiche a mio figlio.
In ogni caso si sempre in conflitto tra generazioni.
Il paese dove sono nata un paese agricolo, oggi lo vedo molto bello, in quelle distese di grano mi sembra di essere in California. Ma quando sono partita dal paese non era cos. Si vedeva tutto brutto, nero e senza avvenire e cos siamo scappati verso il continente, come si diceva allora. Perch si sognava le grandi citt: Milano, Torino e la Svizzera.
Arrivati a Milano a noi ragazze sembrava di sognare: la libert,il cibo, i ragazzi, ed eravamo libere di poter indossare le minigonne, perch in paese non potevamo indossare certi capi di vestiario.
Per la vita in citt, dopo tanti anni, non sembrava pi cos bella come l’avevamo vista nei primi momenti.
L’ immigrazione a volte non porta solo lavoro nuovo, ma porta anche modi di vivere completamenti diversi, e a volte non cos facile ambientarsi nelle nuove citt.
La mia famiglia ha anche subito una tragedia perche’ mio fratello Carmelo, pi giovane di me, non stato fortunato come me.
Io ce l’ ho fatta ad abituarmi a tutte le intemperie che la vita ci ha offerto. Per lui non stato cos.
Carmelo nato nel 1950, l’anno Santo. Quando la mia mamma rimase incinta di lui si disper, perch tanti anni fa una donna di 38 anni era vecchia per avere figli, e cos cerc di abortire, ma non ci riusc, e cos nacque l’ ultimo della famiglia. Forse la mamma si sentiva in colpa e lo viziava tantissimo. Ricordo quando inizi la prima elementare, eravamo ancora in Sicilia. Lui ebbe la sfortuna di avere una maestra all’ opposto della mia; questa maestra picchiava tutti i bambini. Carmelo era un bambino timido e per paura di essere picchiato un giorno si fece la pip addosso. Lei se ne accorse e lo picchi in viso, lasciandogli i segni degli anelli che portava.
Cos Carmelo scapp da scuola e torn a casa piangendo.
L’ indomani mattina mia mamma and dal preside per parlare della maestra, per farle dire di non picchiare pi suo figlio. Cos a Carmelo rimasta per tutta la vita la paura della scuola.
Arrivato anche lui a Milano la mamma lo mand a scuola; noi tutti eravamo contenti, perch almeno uno poteva studiare.
Non fu cos, perch a Carmelo quelle ferite ricevute da bambino facevano ancora tanto male.
Io oggi penso che la vita di un bambino inizi alle scuole elementari, perch se hai la fortuna, come l’ ho avuta io, d’incontrare una maestra brava, inizi a crescere bene, ma se hai la sfortuna di incontrare una maestra come quella di Carmelo, la tua vita sar segnata.
Per lui fu cos, era un ragazzo spaventato, la scuola non lo interessava, e cos and a lavorare. Dopo, all’ et di 18 anni, un suo amico lo convinse a fumare una canna. E cos, dalla canna, pass alle pastiglie, all’ LSD, arrivando infine a bucarsi. E l incominci il calvario della nostra famiglia, perch quando in famiglia c’ un figlio drogato, la vita di tutti rovinata; come la peste, non c’ scampo.
Se ripenso a quegli anni non riesco a spiegarmi come la mamma abbia potuto vivere, perch lei soffriva pi di tutti noi. Lei lo voleva aiutare a tutti i costi. E noi non esistevamo pi per lei.
La mamma e il pap si volevano tanto bene prima che Carmelo cominciasse a drogarsi, non litigavano mai.
Dopo era una lite dopo l’altra, perch il pap si vergognava tantissimo. Perch avere un figlio drogato significa provare di tutto: prigione, ospedali, comunit, giudizi malefici e si impotenti.
Cos il pap si ammal di vergogna, perch in quegli anni non se ne parlava come oggi e curarsi allora era solo un diritto dei ricchi. I figli di immigrati come lo eravamo noi erano malvisti da tutti, dalla gente comune e anche dagli ambienti di lavoro, e lo Stato era l solo per guardare, insomma la "rogna" era solo di tutta la famiglia.
La mamma con il suo figlio drogato era la locomotiva, e gli altri "vagoni" erano posteggiati e potevano anche andare allo sfascio che a lei non importava niente.
Ricordo quegli anni, la odiavo perch era cos forte con lui, tanto da volerlo salvare.
Oggi la mamma non c’ pi perch morta, ma ce l’ha fatta a salvarlo: lui non si droga pi.
E’ ammalato perch la droga lascia sempre dei segni, sia nel corpo che nell’anima.
Oggi comunque penso con dolcezza a quella piccola e grande donna.
Non ci sar mai un giudice che possa giudicare una mamma perch, sia nel bene che nel male, una mamma agisce sempre per il bene del proprio figlio.

Concetta Palma

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